Ha esposto nelle gallerie di mezza Europa Da pittore a giardiniere per sopravvivere
Giovanni Profumo, 43 anni, coniugato, una figlia di nove anni, pittore che ha sempre vissuto di pittura, ancora convalescente da una lunga malattia, per sopravvivere, ora fa il giardiniere.
In Sardegna. In un villaggio turistico. Otto ore di lavoro duro, manuale. Paga da giardiniere «precario », secondo il contratto di categoria. Nato a Genova, ha imparato a tenere in mano i pennelli ed usare i colori a villa De Singe, la casa del maestro Paolo Stamati Rodocanachi, il greco che ha cantato sulla tela la Liguria e che Genova ha recentemente ricambiato con una doverosa mostra postuma al Palazzo dell'Accademia ligustica di belle arti. Senza la collaborazione di Profumo, forse, la mostra sarebbe stata impossibile.

Amico di Jorge Luis Borges e di De Chirico (gli intimi ricordano i loro memorabili, notturni, rissosi bisticci romani sul senso dell'arte e della vita), cresciuto all'arte e alla ragione alla scuola dei pittori Saccorotti, Capogrossi, Fieschi, Caminati, Chiti, Profumo esordì con la prima personale nel 1954 all'allora galleria «Libertas». E' poi cresciuto all'arte esponendo tra l'altro alle «quasi inaccessibili» gallerie «Numero» di Roma, Firenze e Venezia.
Tra le rassegne della sua pittura più bella quella del '77 alla «Bürdeke» di Zurigo alla «Sarriò» di Barcellona e alla «Ur Nina» di Damasco. Di quella mostra scrisse anche Pasolini, attento ad ogni umanità ed espressione artistica vera. Il ministero della Cultura siriano, in quel politicamente difficile 1971, scelse Profumo (qualcumo avrebbe voluto che scegliesse De Chirico) per far conoscere ai connazionali la pittura italiana contemporanea.

Un'autorevole voce ha scritto che a Genova, oggi, «qualcosa» di nuovo «si muove» per far uscire la città da un cinquantennale letargo. Il giardiniere emigrato Profumo è un segno di contraddizione, un'eccezione che conferma la
regola di questo tardo risveglio. Mentre le sue opere migliori sono ospitate in collezioni private e pubbliche di Francia, Svezia, Svizzera, Finlandia, Spagna, Turchia, Argentina, Siria, Messico, Stati Uniti, Israele, Italia, le sue mani strappano i rovi e zappano la terra. Se la forza fisica lo aiutasse di più, forse sarebbe meno gravosa la sua totale umile accettazione di questo lavoro esclusivo che gli impedisce (solo perché lo fa seriamente) di dipingere, di esercitare il «mestiere » al quale ha dedicato la sua vita. La Rai-Tv, la Radiotelevisione elvetica, le più autorevoli testate, lo hanno perso di vista. Nell'angolo dimenticato della Sardegna turistica del cattivo gusto non c'è spazio per altro riconoscimento che quello di poco pane di ogni giorno.

La fiera mercantile dell'arte italiana, forse, si ricorderà di lui in una rassegna postuma, come ha fatto per Paolo Stamati Rodocanachi. Forse, si ricorderanno, ora, di lui, come lavoratore delle braccia, i sindacati di categoria (è iscritto ad un sindacato confederale).


E. G
Il Secolo XIX, 25 maggio 1979

 
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