Germano Beringheli

Tutto era e sarà "luce"

L'asserzione è di Giovanni Profumo, un artista che credeva - in piena contemporaneità e siccome l'antica mistica neoplatonica di Agostino - che dipingere fosse non soltanto il trattare la superficie di un quadro con linee quali punti mobili nello spazio e in essa la luminosità del colore, ma lo strumento spirituale per attingere la bellezza. il valore estetico di ogni entità, e che la bellezza fosse, pertanto, stessa di tutte le cose.

Del resto di ciò aveva discusso, nel secondo secolo dopo Cristo, il filosofo Plotino i cui pensieri, tanto prossimi alla nostra "modernità, avrebbero permesso a Carl G. Jung di elaborare i propri studi su La simbolica dello spirito.

Potrei limitarmi, perciò, per riparlare del Suo lavoro pittorico - concentrato alla produzione di una pittura in cui la visibilità fosse, com'è, l'irraggiamento penetrante e spirituale dell'invisibile intuito - a ripetere quanto già scritto o a rimandare, chi lo volesse, alla lettura del testo riportato nel catalogo della postuma genovese dell'aprile del 1998.

Tuttavia - a ricordo delle tante indimenticabili discussioni con quello che definirei, citando Maritain, l'intelletto creativo di Giovanni - credo proprio di dover ulteriormente intervenire per attestare, ancora una volta, come e quanto esso, il suo intelletto creativo, corrispondesse auna sorta di intercomunicazione fra l'essenza interiore delle cose e l'essenza interiore della persona, nel caso di un essere particolarmente sensibile che osservava le cose con attenzione, consapevole delle differenze, accertate da Maritain, tra il bene dell'arte (dell'opera) e il bene del dinamismo creativo dell'artista.

Giovanni Profumo ha avuto, attorno ai primi anni cinquanta del secolo passato, un punto di partenza di estrazione figurativa e le sue prime opere risentono della necessità di dare espressione plastica alla propria emozione estetica e all'inquietudine suscitata dal clima del tempo.

Erano i primi anni successivi a Novecento e la reazione ideologica stava, allora, tra i seguaci di Corrente, ansiosi di aggiornarsi sulle proposizioni internazionali dell'avanguardia storica, ovvero sullo scientismo post-cubista di Picasso e Braque, sul'orfismo luminoso di Delaunay, sull'astrattismo di Kandinskij, sul post-espressionismo segnico e cromatico di Rouault, sul costruttivismo di Tatlin e il suprematismo di Chagall.

Quella volta Giovanni, che viveva e operava a soprattutto a Genova, osservava, da pittore, e non è cosa da poco, tanto le atmosfere di Saccorotti come l'emotività forte eppure espressa tonalmente, di Rodocanachi, alternate alle proposizioni di Enrico Paolucci e del giovane Guido Basso.

Nondimeno il bisogno, direi ancora la necessità, di identificare le proprie intuizioni sensibili con l'intelligenza operante del discorso espressivo, lo indussero, poi, a scelte ben maggiori: lo sedussero le larghe fasce di luce del simbolismo di Franz Marc e l'articolazione spaziale e luminosa di Mondrian, il confronto tra la metafisica e l'ascetica teosofia del maestro di Utrecht con la propria religiosità rivelata dalla Fede.

Nei suoi quadri definitivi e maturi la geometria pura, densa di significati analogici della spiritualità, e la scansione spaziale della luminosità cromatica, che nella simbologia della patristica cristiana rappresenta il mondo celeste, convengono ad esprimere l'armonia equilibrata fra intelletto ed emozione, nella consapevolezza che l'arte è, di per sé, numinosa, ossia illuminazione sacra, arcana e rivelatrice.

 

 
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